Nel 2014 ci siamo candidati a guidare la città in nome di un “cambio di passo”.
Bergamo appariva allora come una città ferma, incapace di dare espressione alle proprie potenzialità. Ci siamo proposti di renderla più dinamica, più aperta e più inclusiva; di mobilitare le energie disponibili sul territorio, di affrontare con concretezza ogni aspetto dell’amministrazione e di ricostruire così un clima positivo, capace di generare fiducia e coesione all’interno della nostra comunità.
Molto è stato fatto, molto resta da fare.
Diversi temi di cui si discuteva da anni – stadio, Montelungo, Donizetti, gasometro, rondò autostrada, Pontesecco, Palazzetto dello sport, Carmine e S.Agata, nuova Gamec, Astino, Centro piacentiniano, collegamento con Orio, ecc. – hanno finalmente trovato una risposta e una loro precisa fattibilità: ora è il tempo dei cantieri; l’obiettivo di contrastare la perdita di posti di lavoro è stato centrato – con la nascita di migliaia di nuove imprese – e così quello di arrestare il calo degli abitanti, ma resta più che mai attuale la questione demografica. Abbiamo creato le condizioni per una forte crescita delle presenze turistiche – grazie alla rinnovata attrattività culturale della città – ma vanno perfezionati gli strumenti di protezione dei luoghi più preziosi, a partire da Città Alta. Molti passi si sono fatti nella costruzione di un nuovo welfare di comunità – insieme al Terzo Settore e al volontariato – ma altrettanti se ne richiedono, se vogliamo che il sistema “regga” al crescere dei bisogni; infine, abbiamo ampliato le superfici verdi, i parchi e il patrimonio arboreo, ma la forte sensibilità cresciuta in questi anni intorno ai temi dell’aria e del traffico richiede da qui in avanti risposte più incisive a favore dell’ambiente.
Abbiamo allora iniziato, una volta riconfermati nel 2019, a lavorare per la Bergamo del 2030.
Abbiamo pensato di farlo con nuovi, importanti interventi di trasformazione di aree dismesse – a partire dallo scalo ferroviario col progetto di Porta Sud. Vogliamo una città più verde, con aria più respirabile e meno traffico. Per questo abbiamo iniziato a difendere i quartieri dall’invasione delle auto che ogni giorno entrano a Bergamo e lo faremo con le nuove infrastrutture (Ponte-Montello, Teb 2, Bergamo-Orio, navetta con Treviglio e nuovo collegamento con Dalmine), potenziando le linee ATB, proteggendo la sosta dei residenti nei quartieri.
In mezzo a questo grande lavoro è arrivato il covid19.
Un’esperienza devastante per la nostra città e per la nostra Comunità. Ma vogliamo ora lasciarci alle spalle quel che è avvenuto nel 2020, rimboccarci le maniche e ripartire, con tutta la forza che abbiamo.
La necessità di convivere e superare l’emergenza del coronavirus chiama ci ha chiamati alla responsabilità di elaborare una strategia articolata, che abbraccia tutti gli ambiti della vita cittadina. E quindi al grande lavoro che avevamo avviato si è aggiunto un lavoro ulteriore. Mi spiego meglio.
Si tratta da un lato di mettere a punto una serie di scelte volte al “recupero” di ciò che stato danneggiato dal lockdown, e dall’altro di immaginare un forte cambiamento di molti aspetti della nostra vita quotidiana, radicalmente impattati – anche se forse solo provvisoriamente – dalla necessità di tutelare la salute dei cittadini e di evitare una nuova diffusione dell’epidemia.
Siamo chiamati a cambiare il nostro modo di vivere e ad immaginare una diversa organizzazione della città. Ovviamente molte decisioni discendono dalle istituzioni nazionali e regionali, per le rispettive competenze, ma abbiamo ormai compreso che anche a livello locale è necessario riprogettare attività e servizi, così da comporre una “nuova normalità” segnata dalla coabitazione col virus.
Questo esercizio ha richiesto, necessariamente, una parziale rilettura del piano di mandato, i cui obiettivi restano attuali, ma che non può non risentire del nuovo scenario.
Bergamo – lo sappiamo – non è una qualunque città alle prese con la crisi innescata dal coronavirus. Bergamo si è trovata ed essere l’epicentro di questo flagello. Bergamo è tra le città del mondo quella che ha pagato in proporzione il prezzo più elevato, con la maggiore mortalità causata dall’epidemia e con pesantissime conseguenze sotto il profilo economico e sociale.
L’impresa a cui Bergamo è chiamata – tutta la comunità cittadina, non solo l’Amministrazione comunale – è dunque quella di rimettersi in piedi dopo essere andata al tappeto, trovando nella nuova fase di ricostruzione le stesse energie e la stessa capacità di coesione che le sono servite per resistere e combattere nelle settimane dell’estrema emergenza sanitaria.
Si tratta di ricostruire ciò che è andato distrutto in poco più di due mesi, di ribaltare l’immagine della città – oggi universalmente collegata al nome del virus – per tornare a renderla attrattiva, anche sotto il profilo turistico. Bergamo resta terra di manifattura, ma negli ultimi anni il turismo – grazie anche allo straordinario sviluppo dell’aeroporto – era emerso come una componente essenziale della nostra economia.
Oggi si sta riprendendo dopo aver visto azzerata tutta la sua attività. Ci aspetta dunque un grande lavoro, in cui il capoluogo – e non solo riguardo al turismo – è chiamato ad un ruolo di riferimento per tutto il territorio provinciale, ugualmente colpito. Crediamo che una leva fondamentale per ripartire possa essere la cultura. Nonostante le limitazioni a cui il settore sarà costretto nei prossimi mesi. Lo sviluppo turistico di Bergamo è infatti avvenuto attorno alle sue bandiere culturali, da Donizetti alla Carrara, dalle Mura Patrimonio Unesco alle sue architetture, attraverso le tante manifestazioni che ne hanno arricchito il calendario. Molte di queste andranno ripensate, al tempo del coronavirus, e nondimeno pensiamo che il rilancio della città non possa che passare da una particolare vivacità del ricco sistema della cultura che la città è in grado di esprimere, accompagnata al requisito di “città sicura”.
La candidatura a Capitale italiana della Cultura 2023 – presentata insieme a Brescia e già accolta dal Parlamento con una speciale procedura di designazione – concretizza questa prospettiva e si pone come lo strumento con cui attivare la partecipazione di tutte le forze vive della città all’ambizioso disegno di rilancio.
Il tessuto economico della città, fatto in gran parte di servizi, commercio e piccole imprese artigiane, è stato fortemente colpito dall’emergenza sanitaria e dalle limitazioni che questa ha comportato. Attraverso importanti interventi di sostegno e di rivitalizzazione, ben oltre la sola liquidità resa disponibile dai provvedimenti fin qui varati dal governo, si è evitata la definitiva chiusura e cessazione del tessuto produttivo cittadino, ma è chiaro che sia necessario accompagnare con attenzione questa fase di ripartenza perché è probabile che molte di queste attività debbano per un lungo periodo fare i conti la fragilità della situazione post pandemica, anche se è risultato evidente il rimbalzo della domanda dei mesi centrali del 2021.
In gioco c’è l’anima stessa della città, fatta di relazioni, socialità e condivisione. Ci sono la vivacità, il decoro e la sicurezza dei luoghi. Ma soprattutto c’è il reddito di migliaia di famiglie, a vario titolo coinvolte nelle occupazioni che caratterizzano questi settori e che la perdita di molti posti di lavoro porterebbe a precipitare in una condizione di immediata precarietà.
Per questo tra le primissime azioni avviate – ad integrazione dei dispositivi attivati dal governo – c’è subito stata la messa a punto di strumenti di intervento economico a sostegno del tessuto produttivo della città, e in particolare delle piccole e piccolissime imprese dei settori più colpiti.
Per rimediare alla forzata riduzione della capienza di tante attività – da quelle della ristorazione e della somministrazione a quelle culturali, ricreative e sportive che normalmente si svolgono in strutture chiuse – abbiamo nel frattempo avviato una sperimentazione che ha ridefinito l’uso degli spazi pubblici: delle piazze, delle strade, dei parchi e degli spazi verdi, sforzandosi di combinare distanziamento fisico, salvaguardia delle relazioni sociali e sostenibilità economica di queste funzioni. Cercheremo di mantenere questo atteggiamento anche negli anni a venire.
Tutto ciò comporta un grande impegno anche sotto il profilo della vigilanza. Sappiamo però che l’esperienza maturata nei mesi del lockdown – in cui abbiamo visto la Polizia Locale riconvertire in parte le proprie funzioni – ci consente di accompagnare la progressiva ripresa, in particolare rispetto alla fruizione degli spazi verdi e delle piazze, vigilando con efficacia sul rispetto delle normative per la sicurezza dei cittadini.
Sappiamo anche che è necessario operare, nei limiti del possibile, per uno snellimento delle procedure, con il doppio obiettivo di accelerare il più possibile la realizzazione delle opere pubbliche già previste – cosa rilevante anche per i benefici che potrà portare al settore delle costruzioni e all’indotto collegato – e di semplificare la relazione tra le imprese e la pubblica amministrazione.
E’ come se entrambe le dimensioni principali del nostro vivere – il tempo e lo spazio – andassero improvvisamente rivisitate.
Lo smart working, con cui decine di migliaia di cittadini di Bergamo hanno familiarizzato nelle nei mesi della forzata chiusura dei luoghi di lavoro, grazie anche a tecnologie di recente diffusione, contiene a sua volta un’esperienza di contrazione dello spazio, e di sostanziale riduzione degli spostamenti, da cui sarà importante non recedere del tutto nel prossimo futuro.
Sappiamo già che quello della mobilità sarà uno dei campi di più complessa gestione, anche dal punto di vista politico. La strategia di progressivo “trasferimento” di quote di mobilità dal mezzo privato (auto) al trasporto pubblico è pesantemente minata dalle necessità di protezione sanitaria che oggi si impongono. Non sarà più possibile incentivarne l’utilizzo, così come non si potrà più promuovere il carpooling, e lo stesso car sharing risulterà probabilmente penalizzato. L’uso dell’auto privata verrà (comprensibilmente) percepito come il modo più sicuro per muoversi. E’ evidente quindi che corriamo un grande rischio di “retrocessione” rispetto al percorso verso la mobilità sostenibile che avevamo intrapreso. Per salvaguardare i nostri cittadini dal contagio rischiamo ritrovarci in mezzo ad un traffico impazzito e ad un drammatico peggioramento delle condizioni dell’aria. Dobbiamo assolutamente evitarlo, ma non sarà facile.
L’unica opzione che abbiamo è puntare con forza sulla mobilità dolce, ma non basterà farlo in termini “ideologici”: convinceremo i nostri cittadini a usare di più la bicicletta – o la e-bike, o i monopattini elettrici, o gli scooter elettrici – se faremo dei passi concreti per favorire queste soluzioni, a partire dalla realizzazione di nuove piste ciclabili e di percorsi sicuri, oltre che mettendo a disposizione nuovi servizi di sharing. Ma anche provvedimenti impopolari per limitare l’uso dell’auto e cercare di sviluppare forme di intermodalità per gli spostamenti in città.
C’è un’altra cosa che abbiamo chiara, anche qui a proposito di come cambia lo spazio. Se vogliamo garantire a tutti i cittadini la piena accessibilità dei nostri servizi e anzi rafforzare la dimensione di prossimità che consente di evitare l’isolamento di tante persone e generare maggiore inclusione, dobbiamo puntare con forza sui quartieri.
Non si tratta per Bergamo di un cambio di rotta, anzi. Proprio questa direzione di marcia era ben evidenziata nel programma elettorale del 2019 e nelle successive linee di mandato. Decentramento dei servizi comunali, welfare di quartiere (addirittura di strada o di condominio), pieno coinvolgimento della cittadinanza attiva a partire dalla felice esperienza delle Reti di quartiere, rivalutazione dei luoghi d’incontro decentrati (il progetto “una piazza in ogni quartiere”), potenziamento della cultura diffusa: questa era già la nostra idea. Ma adesso ne siamo ancora più convinti. L’epidemia in aggiunta ha messo particolarmente a nudo la vulnerabilità dei cittadini più anziani, e non solo dal punto di vista sanitario.
La condizione di solitudine che caratterizza la vita di molti di loro si è rivelata un ulteriore fattore di fragilità che occorrerà cercare di colmare con il potenziamento dei servizi domiciliari e un’accelerazione del progetto di welfare territoriale avviato nei mesi scorsi. Lo stesso potremmo dire della cura dei bambini, in questo avvio di Fase 2 forse uno dei temi più trascurati e più critici. Anche qui – vista la complessità che potrebbe caratterizzare il riavvio dell’attività scolastica, e ancor di più le attività educative per la fascia 0-6 – i quartieri appaiono la dimensione di una possibile organizzazione “dal basso”, fondata sulla condivisione e sulla mutualità.
Anche per questi progetti serviranno risorse aggiuntive, ed è importante per questo che sia accolta la richiesta di integrale ristoro delle minori entrate registrate nei mesi scorsi dai bilanci comunali.
Così come servirà la tecnologia, in questo caso per attivare piattaforme che consentano di aggregare la domanda e l’offerta dei servizi: un altro pezzo della nostra idea di “nuovo welfare” che l’emergenza Covid ci spinge ad anticipare.
Del resto è questa l’impressione che abbiamo maturato: che il forzato esercizio di creatività e concretezza a cui siamo chiamati per far fronte alla crisi scatenata dal coronavirus possa rivelarsi – aldilà delle sofferenze e delle difficoltà – anche una grande opportunità di trasformazione, un acceleratore di cambiamento. Alcuni fattori giocano a nostro favore – come la spinta verso la dimensione di quartiere – altri, come l’istintivo ritorno all’uso dell’automobile, sembrano sospingerci all’indietro; ma potrebbero obbligarci ad anticipare scelte che diversamente avremmo impiegato molti anni a fare, e rivelarsi quindi a loro volta utili.